Essere-non essere un russo e “russare” non solo in Russia ma in Dracula a ma(e)stro dei suoi monchi, miei monaci e “dott(or)i”, questa è la libertà di vero “(av)or(i)o”
Basta coi paletti, d’altronde io sono l’Impalatore. A memoria imparatelo, miei “pallini” con le “palle”, combattei in guerra crociata contro i mori, miei viventi morti. E adoro i giochi di parole, in quanto eternamente giovane a differenza di chi, facendo(si) figli d’un Dio porco, “smadonna” appena la tanto “agognata” prole sbuc(ci)a in culo al suo (im)mo(n)do di vivere ché, se non partorisce altre puttan(at)e, non si sente a posto e in porcile.
Porcile uguale “adattamento”, uguale nostra (s)fottuta “normalità”, parimenti alla nostra micidiale (im)moralità. Se a tal “proposito” ci darete or(d)inanti degl’invertiti da urinanti, noi, perversamente, (t)remeremo ancor più spropositati d’inversamente proporzionali alle vostre po(r)zioni, miei porci, ecco Ulisse che sta sbarcando a Troia, mie troie, dette anche, “maschilmente”, proci.
Udite e sentitelo chiaro e forte, questa non è retorica, è il mio Auditorium, la mia Sala Magna… voi.
Oratoria contro le oralità da ma(ia)li.
Pochi uomini raggiungono la libertà. Vivono quasi tutti sognando le “stelle” e, ad alcuni (s)fortunati, capita in “dote”, o meglio in lor (in)consapevole dolo, la frustrazione “evoluta” del s(ucc)esso come nell’ennesimo capolavoro di Cronenberg, Maps to the Stars, appunto… e a cap(itombol)o.
Io sono il Master, miei commander(s), e qui leggo per voi il mio “Pacifico”, perché ho riscoperto la mia miniera d’oro intellettiva e più romantica, Atlantide… del mio cuore. Tutti in cor(te)o, sonando d’afflato, miei “tromboni”, il flauto della nostra navigazione s’eleva candido, quindi cauto in allegri vivi, ubriachi di vita e addio ogni viltà.
Dammi del (di)vino e ti dimostrerò d’esser davvero un “Cristo”, stordendo ogni mostro e qui, sul mio battello nel batterci il petto, miei polli, rispettando la bellissima balena bianca e tutti gli “Achab” del cazz’ abbattendo.
Noi siamo freddi, non indossiamo le Polo ma viriamo al Nord e poi a Sud. Transilvanici, quindi, nostri villani da villiche e da vi(te)lloni, in guardia, foste guardoni e adesso ve ne dovete guardare.
Poi, dando il mangime ai miei “pesciolini”, ché nell’acquario devon “affogare” di (de)nutrizione al mio Plasmon, in quanto vampiro esangue, plano pian pianino.
Nave, neve, nervi (s)tirati, Altissimo Dio adirato a morte e sopra ogni legge(nda) col mio (t)rombante aeroplanino giudicante. Basta con queste lastre di sangue, questo è il mio “seme” dato in “orifizi” a voi, (im)piegati a novanta dinanzi al mio “sacrificio”.
Me ne vanto! Io son l’a(g)nello di Dio che toglie il peccato ai vostri spacc(i)ati, l’onestà dell’ostia del vero, stronzo mio oste in (congi)unzione nell’un(i)ta mia (dis)umanità (di)staccata, st(r)appante sia tua moglie in “p(i)ena”, in quanto da me di “pene” (inon)data nel dato di “fallo”, e sia la botte ubriaca di detto “alterato” poiché, come già dissi e ridico, io rido, anche ridondante, suonati da din don dan, invertendovi, e fanculo a tutte le dee delle vostre passer(ell)e.
Non (mi) passerà la te(mpe)sta, io son il gabbiano che nessun gabba, io libero tutte le gabbie dei “passerotti” ed evviva Noè, apro le “acque” d’ogni donna al passaggio del mio (r)osato Mosè osé e poi (s)vol(t)o “alto” di comandamenti mandati sull’asino vostro, cari miei tonti da Sinai ché dite sempre “Sì”. Non arrossite, siete arrosto.
Desiderate la donna d’altri? Eccome, ma il cristianesimo v’impedisce di sbattervela…
Allor la vostra, frust(r)ata, vi fa bestemmiare e v’imbestialite perché (dis)onorate le “feste”, guardando ma non toccando, miei “toccat(ev)i”, io sono Al Pacino de L’avvocato del diavolo, e cado ancor in falò delle vanità! Ah ah!
Tocco!
Così, per quanto vinsi-persi la ca(u)sa, ancor la riapro e ve li aprirò nuovamente. Sì, ve li rifaccio nuovi e ripartiam daccapo. Questa è la mia cap(r)a e non potete farmi niente, se non appellarvi alla Corte d’Appello perché io “olio” la mia cappella e le donne me lo leccano, scappellato, in quanto è uno “scalpello” nelle più scultoree e tornite, di tutto “cavallo” in tutti e tutte inchiappettante. Non odiatemi, noleggiate Kassovitz e il suo L’odio, e urlatemi, abba(gl)iati, un “Sti cazzi”. No, ne ho solo uno, ma i vostri son amari.
Evviva il mare, dai, è bella Mara, poi c’è Marta. Se non ti piace, datti a Marte e, da marziano, sarai anche lì “marinaio”. Invece, tutte le mie (ciam)belle vengon col buco di culo…, non solo an(nu)almente ma di quotidiano (s)fondarle in mio “schizzato” lontano dalle “bontà” delle cretine delle mass(ai)e. Un altro “massaggio” e altri “assaggi”. “Sale”, “dolce”, insomma un salad, miei salami.
Non faccio un cazzo da mattina a sera ma tutte me le faccio, alla facciaccia vostra ché dovete star solo buo(n)i mentre io sto nelle mule. Asini, ecco la “tragedia” che si è (ab)battuta per voi. Siete dei cagasotto!
Battone, dopo an(n)i di miei pa(le)tti, voleste perfino tagliarmelo e “ridurmi” in mutande, cari “duri”, con le brache calate, “scompisciandovi” nell’“appurar” che fossi c(r)ol(l)ato.
Voleste ardir ad ardermi anche la calma p(i)atta.
Sputando nei vostri piatti. Piattole!
Ridendo col vostro “gelato al cioccolato”.
Mai “orrore” fu più stronzo e ogni mer(da) oggi in tribunale ritorna come “(im)potente” onda d’urto.
Io sono un toro, nato Vergine e ascendente “gemelli” in Ariete.
Dopo che mi (mal)trattasti come una bestia da So(do)ma, tu, somaro, avesti anche il (co)raggio “illuminante” di chiedermi “Adesso, hai una vita tua? La vedi in modo più solare?”.
E io, qui, mio baro, dalla mia “(s)bar(r)a”, ti rispondo notturno e liber(tin)o nelle strade di Madrid, da genio assoluto, come il grande Mozart.
- Sì, ho trovato una vita mia. La tua…
Questo si chiama scherzo di cattivo (in)g(i)usto, si chiama vendetta atroce, si chiama il tuo (os)sess(ionat)o del cazzo.
Ora, chiama la tua “bella” e, belando, vedrà la tua pecora in mia ce(r)n(ier)a su “spettacolo” tremendo, osceno.
Allora, perché Russell Crowe e non Gary Oldman?
Perché sì!
Chi ha orecchie per intendere, intenda…, io brucio nel vento. Voi, nel “coprifuoco”, attenti al bombardamento. Nelle tende!
Sono “malato?”
Sì, miei dementi!
E ne vado fiero, orgoglioso!
Ora, servi, siate severi a suo sedere, sbattet(egli)elo “dentro”.
Questa è poesia per i miei “occhi” del vederla come volevo e ancor voglio…
Questo è farti il mio (di)verso “indiano” che non si arrese e giammai sventolerà bandiera bianca di fronte ai vostri ricatti da ricotte delle (sci)albe da notti in bianco.
Ecco il tuo b(r)anco!
“Amico”, ci vediamo in (di)battimento.
Sbattitene se (ci) ri-esci.
Buonanotte.
di Stefano Falotico
Recent Comments