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Il seme della follia, s(c)emi

Fra lugubri stanzoni asettici, asfittico è il torpore del malessere cutanea-mente (o)scuro che, dal profondo nefasto quanto speranzoso del rifulgere in gioiose, nuove armonie, funesta quanto intenerisce e sprona splendente il gagliardo, gaudente spirito degli uomini apparentemente cupi, più vivi degli They Live nauseabondi e frivoli, avvolt(olat)i foschi-dementi in questo mo(n)do oggi rocker, domani melanconico come una fievole, calda melodia jazz che, sfregando immagini inquietanti di (sotto)fondo, cari (s)fondati (in)certi, irta ed eretta di cric-track-mind, irosa e rossa nel trasfonderci umana, cauta e lieve, ci inonda di letizia, invece, corroborante la nostra psiche, sempre anima(ta) nella mente vera e giustamente, appunto, vitrea nel lindor accecante del viaggio pen(sier)oso e talora avventuroso del vivido essere senziente e non essere, come (non) siete, dentro una triste, agghiacciante ambulanza di corpi e c(u)ori macchine. Vi(b)ra lampeggiante la bellezza asciutta senza (rim)pianti, incatenata o incantata, feroce o già squagliata dagli squal(lid)i? Ed è poesia (dis)incantata in mo(vi)menti di palpebre argute, sonnolente, abbacchiate ma non abbattute, (s)battiamoci nella pavimentazione a prima-pietra di cuor (in)vis(t)o che, superficiale nel visitarci da voi, opachi e miopi, traslucida, furente, battagliera, si aggancia ai voli pindarici, anche da Icari b(r)uc(i)ati e non da scor(i)egge del viver apparentemente savio e inver falso ché non sente se non i bagliori fatui, effimeri di sé stes(s)i già da morti viventi e sepolti, cementati, orrendamente scop(pi)ati.

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