Il profeta Ezechiele “coniò” tal “crocefissione” e i porcellini vollero soltanto, per mano di Ponzio Pilato, lavarsi le mani e sporcare il suo vis(t)o.
Un giorno, (a)scese (d)al Cielo Cristo per far felici donne e bambini, moltiplicando il pane e il vino, patì “pene” dell’inferno e lo tennero (in)fermo, divinizzato poi dalle religioni nello spar(t)imento dei vari Credo.
Fra ortodossi, preti che se la fecero addosso, da cui le feci e i più merdosi pedofili, cattolici del peggior moralismo bigotto, “sicule” mafi(os)e di gente che prima ammazza il prossimo e dopo gli “porge” l’altra guancia nel suo scellerato, inguardabile sorrisino ipocrita, intingendo ogni domenica, che Dio (non) comanda, la manina morta… nell’acqua “benedetta”, annuendo di luoghi comuni maledetti (s)fatti di (pro)verbi dai cattivi congiuntivi e da ottusità peggiore e più “benigna”-maligna della congiuntivite, da cui il mal mio di testa da “malato” in tal società fintamente perbenista, assassina, ché già dall’infanzia rintrona i “figliol prodig(h)i” nel battesimo blasfemo della lor abluzione ove conterà sol appellarsi alla Divina Provvidenza in caso di “maree” e poi, di “contraltare” e scheletri nell’armadio, urlare e best(emm)i(ar)e contro tutti i mar(tir)i, spu(n)tando in piatto sputtanato da ma(ia)li in cui essi ste(s)si mangiano come gran puttane e quella “figa della Madonna” tanto vergine quando fa “sangue” e tanto troia se fa “comodino”.
Allorché, quest’uomo osceno, dalle carnali ce(r)n(ier)e, banchetta nel b(r)anco degli imputati e contro chi gli sta antipatico, a pelle e a “palle”, s’impunta, trivellandolo di sue baionette e “tirandosela” da baro(netto) e tre etti di macellaio a tarpar gli “uccelli”.
Questa si chiama appunto “oscenità” e io ne vado fiero, fiera in mezzo agli animali, elevo il cazzo di ferro in vanità perpetua senza tregua. E sia fatta la mia (non) volontà. Da russo che, a suo (di)letto, se la russa anche se non esiston più le russ(at)e d’un tempo, di quella mia M(atri)osca da barfly che tanto (d)isperar-spensierato mi rendeva illibato eppur pen(sier)oso, puro e non (s)porco, spara-stronz(at)e in un attimo fuggente da Walt Whitman…
Chiamatela retorica, mie o(r)che, in mezzo agli squal(lid)i, io son oggi ad Assisi e, fra gli Asin(ell)i delle “torri” felsinee, gioisco pendente in quanto Alighieri Dante in Garisenda oscillante fra uno stato crollante da depresso (ab)battuto e quindi un innalzarmi in gloria del mio eterno passeggiar alla Marsigliese internazionale.
Da New York a Parigi, da Madrid ad Helsinki, dalla Scandinavia agli “scantinati”, io son scatenato e (v’)ubriaco, rubicondo e Golconda, Gioconda e non si gioca perché Dio mio mi soggioga.
Fine dei giochetti. Ecco il “giocattolaio”.
Incatenatemi e, dirimpetto alla mia nudità taurina, v’incanterete.
Perché io impersono l’inne(r)vato ghiaccio bollente della saggezza montagnosa più bella e florida, sono Nikolai e su questo non ci (s)piove. Nebraska!
Son da immortal(ar)e di Nikon dal tramonto transilvanico più in gola nel Dracula insaziabile, golosissimo.
Dammi del matto e, di miei (af)fini “mattoni”, ergerò la Chiesa della mia fratellanza. Oh, Gesù!
Sì, io non credo ai finti ecumenismi, alle comunioni stolte, vi auguro ogni Morte(nsen) possibile e immaginabile, ieri Stall, domani di neri tatuaggi, forse Freud, forse ho freddo ma, in veritas, su dangerous method, vi dico che tutti abbiamo f(r)etta e, in questa frenesia, non essendo il Messia, credo solo che ognuno dev’essere quel ch’è.
Così sia. Buona messa(lina).
Ecco il tor(t)o, ecco la tua torta, ecco la “ciliegina” a chi torchia.
Ecco il conto e i conti che tornano.
Ora, svigna via, evviva le vigne, questa è la vita!
Evvai!
Nikolai!
di Stefano Falotico
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