Viviamo d’incenso e ceneri smaltite in ring fradici, nubi piovigginose… anime
Forse l’ingiustizia si fermerà, svaniti i dolori canteremo ossequianti un altare maestoso, gravitando fra tali vili pusillanimi irriconoscenti a vessilli furenti di nostre armate sulla tetraggine sbandierata delle rubate emozioni, dei baci in solitaria aspirati, d’una rettitudine vostra (im)morale che puzza lontan un miglio d’ipocrisia da sputare! Sì, beota… pilucca pure l’acqua benedetta e non credere al mio miracolo, di come guaì l’occhio mancino dello sfoderato, foderatissimo mio coraggio e intrepida virtuosità.
Piangi l’orrore che perpetrasti e nutriti ancor d’orgogli vani. Qui ammantello l’onore dei valori scomparsi e persi. Afflitti e mortificati da voi, i mor(t)i! Sonnecchio, di scibile m’aggrappo a croci celtiche in auliche albe ch’offuscate e fosco mi (s)cremo in stupende lungimiranze. Patirete marmocchi, bevete pur in groppa alle “belle” puttane e “galoppate” in baccanali grappe. Amo la mia “volpe” in grappoli d’uva, ché sgranocchio il mio “seme” in solitudine mansueta, carezzando il pene a meraviglia “contorta”, di come vola nitido a nidificare d’immaginifiche fighe da me gustosamente violate, corroborate. Tattili al mio “(in)toccato” ma nauseato dai vostri nasini, nella mia “casona” faccio casino, “scribacchio” le pareti a “graffi(t)o” di sperma (l)abile in quanto negligente al vostro “sapore”, ai vostri ammorbanti amori da piccolo borghesi.
Tutto ciò, quest’amorevole “bontà” m’appare rivoltante, così faccio volteggiar la scimitarra e mi pitto il viso da scimmia, inculando somare che non san coniugar il Verbo del Signore e son loro pastorizia. Allattato da un ben di Dio soffice e anche mieloso, a mio tubo digerente permeato in moribonda su innamorarlo morbidissimo da me. In “crocefissione” di tutti i vostri peccati, mai inchinato né demoralizzato, sublime a fottermi san(t)ificato. Disprezzo i lavoratori “mesti”, così si dichiarano. Si lamentano di tutto ma poi li vedi scherzar sui “lutti”. Il mio lupo se ne frega, scopa in pace di Cristo anche il mio letto totalmente “bianco”, sorvolo donne dalle “coppe” d’oro e scendo precipitevolmente ad avvoltolarle con fame libidinosa d’avvoltoio. Ma anche per me, per antonomasia favolista da poète maudit, da Edgar Allan Poe che pontifica, io il reverendo, io senza reprimendo non più depresso, la vita è durissima. Cazzo! Ora tu donna mettiti a pecora e be(l)a.
Godi in gola il mio “picchiatore”, il picc(i)one hai appiccato. Sbeccalo e sbavala!
Un componimento di Stefano Falotico
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