Ecco cosa pen(s)o del mondo, prendetemi per un cinico, sempre meglio che diventar, come voi, un finto buono:
Ricordi che spaccan la memoria, fragili specchi d’ansietà risorte dal vuoto che intercorse nei frangenti limpidi di quel tintinnar, tormentato, tra un’infanzia lacrimante la pubertà pronta a destarsi esplosiva, un’adolescenza onirica, nel viaggiarsi contemplativi, turbati, riflessivi, romantici, avvolti, (in)voluti, avvi(t)ati, (dis)attiv(at)i o iperattivi, avviliti e cinici, un’adulta età sempre sul chi va là, tremolando in stati bradi d’ebbrezza o ebbra-sa(l)via lebbra, poi malsana, (r)esistendo per non impazzire, per non sbriciolarsi, scarnificati, nella massa(ia) e nel lurido porcile dell’adattamento (s)porco, lercio, vanaglorioso, arrivista e (f)utile al cazzo di Nu(te)lla, ché il buonismo è solo un mo(n)do ruffiano per schivar lo “schiavo” ché ti voglion tale, adeguato a linee tristi d’un star non “disturbante”, per ipocritamente (non) vivere in mo(n)di rassicuranti, loro, i garanti “galanti” d’una falsa, fat(u)a felicità di “glassa”.
di Stefano Falotico
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