Bandit(o) samurai, giovinezza di furore e intimi, irreprimibili ardori vs l’orrore della putrida, da spu(n)tar, vecchiaia fascista, oscurantista, cieca e ottusa, la vita bella contro la bruttezza del conformismo più restio alle innovazioni non be(l)ate
Sgommate, sgominateli!
Ed è nervo, e si sgelò la neve, “sommergendo” di pugnaci va(la)nghe marine l’oceanica ignoranza d’una massa arretrata ché tanto “virile” pugnalarci sferrò efferata e vilmente, stringo io il pugno a cap(itan)o dei (ri)belli, spaccando gli argini dell’omertà più abietta di tal pecorine be(l)anti, dell’ipocrisia tanto van(itos)a quanto, invano, nel tentativo fallace, effimero e mortificante d’annichilire una giovane coscienza lucida e rinascente, “falciandola” in modo fall(it)o, ancor tristemente insiste(tte) a cagion intimidatoria del volerla/o veder impiccato/a.
Che falli(ci) idioti!
Appiccateli!
I nostri son fatui fuochi? Fuoco, la rabbia (riaf)f(i)ora! Era ora!
Tutta f(u)ori!
Siete morti!
Oh, noi della fatalità siam destino dei nostri lib(e)ri, vibrantissimi, libranti destini accecanti.
D’amianto, sca(g)liamo i capi che c’accusaron d’espiatorio capro, in lor capperi a darci un “cap(pi)o” per accalappiarci nelle (s)chiappe. Se saremo inf(r)anti, ecco a voi, “grossi” (ele)fanti, il nostro (im)mor(t)ale s(c)acco da lupi ergenti quel magnifico, lucente sbranarvi ché, dal nostro “freddo” (in)frangibile dell’esser (ro)venti nel grido dell’an(s)imo istintivo e d’adirato esser sven(tr)anti e davvero a voi punitori esacerbanti le vostre gelide anime da por(c)i, sven(tol)eremo il vero arrossito Cristo in nudi corpi!
E, allora, giovani… in marc(i)a, marchiateli, non disamoratevi della vita se tal oscena viltà retrograda e vecchissima dei ma(ia)li così procrastinanti, di generazioni in geni lor malati e marc(scent)i, v’incita da vin(cen)ti al suicidio, matandovi e dandovi “pomate” da matti sol perché, a differenza di loro, non anda(s)te a pute o, ancor peggio, dietro le armi ricattatorie del farvi credere di non saper amar il mondo, (in)f(i)erisce per riaprirci sempre le ferite, volendoci male nell’innaffiar noi, i puri, ad affoganti valle di lacrime del lor mar di stronzi, più mer(de), colpiteli meglio a sangue “freddo”.
Impietosamente.
Alcuna pietà per chi vuol, volle violar chi sempre vorrà volare.
Violateli, fateli “violissimi”, slabbrateli e, orsù, disossateli, premete ché van spremuti, insanguinatevi d’ira, stirate le vostre furie e strappateli sin all’osso così come loro, orsi, arbitrariamente da dementi, desiderarono “desinare”, a(si)ni, nel voler infangarci, infrangerci e squal(l)i(di) infamare affinché non avessimo più fame né (non) fossimo (a) femmine belle, (s)fottute del nostro, vivaddio, (in)felice squagliare qui cazz(ut)o. Che fe(l)ci!
Ché, nelle “donne” più fighette, come loro se ne be(l)ano, ce ne fottiamo bellamente, oh, evviva la nostra bellezza contro tal bellicosi brut(t)i ché, da (in)etti (f)rigidi all’emozioni sincere, adoratori demoniaci e di plastica del carnaio “fig(li)o” d’una “(onni)potenza” sporchissima, orca, or di (ri)torti (in)castrati, spegnerci vollero violentemente, abusando oltre (im)mo(n)do della nostra già troppo elevata (im)pazienza linda.
Sono immondizia!
“Pazzia!”. Sia lodato, iddio! Limpidezza!
Siate limpidi, sorseggiamo i nostri di-vini! Sven(tr)ateli!
Scannateli e non siate canditi. Scandite tal divoranti tor(n)i così come, di lor macellante carnaio per an(n)i nell’attorniarci in orripilante “rintronarci”, (e)virarci a lor (di)letti sconci, volendoci per le feste acconciar nel lor martoriante, lercio feticismo, nel lardoso e laido puttanaio, pensando di farci pen(ar)e, sortiron sol la malasorte dei nostri maledetti fe(ga)ti, qui scagliati a “invertiti” sortilegi del dircene schifosi di tutti colori.
In alto, oh issa, i nostri cori da Ulisse.
(E)levateli in cor(p)o d’imbavagliante battaglia sfrenata strangolateli, afferrate l’arpia “maga” Circe(nse) del nostro esser leggiadri trapezisti di tal splendido circo v(i)olante e, a orrori delle lor malsane idee raccapriccianti, dai nostri ricci fluenti… lib(e)riamo i pazzi “cirri” dello spu(n)tarli.
Questa è la prima lezione di m(or)ale a chi, demente, mentente, bugiardamente, dinanzi alla verità della libertà invincibile, con pun(i)zioni inutili, affliggerci non può più, non potrà però mentire e più niente.
Deve pa(r)tire!
Non vi è più pa(r)tita/o!
Vecchio, hai rotto il cazzo!
E ora son cazzi tuoi!
Non c’impaurirai più con le tue meschine reprimende!
Siamo tremendi.
Ronin!
Pensavate di stremarci e invece dovete tremare!
Ecco… voleste frenarci, arderci, (ar)renderci (in)fermi, (dis)infettarci, e invece noi, ardendo e adira(n)ti mor(d)endovi, uccideremo le fiere nel nostro fiero esservi indimenticabile ferita da ferini!
Voleste dimenticarci.
Noi, invece, non dimentichiamo.
di Stefano Falotico
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