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De Niro Heat

Heat De Nirodi Stefano Falotico

Il Cinema di chi è nato nella sua alterità e nonostante le violenze, psicologiche o fisiche, non cambierà neanche angariato da altre mille torture perché, resistendo agli urti e alle pressioni sempre più feroci d’una società, che vorrà adattarlo alla tradizione della medietà conformista da anni tramandata in generazioni (de)generate a “oltranza”, s’opporrà perennemente d’arte “violenta” anche se verrà scambiato per “demente”, l’unica forma di ribellione possibile per rompere le mura silenti dell’omertosa ipocrisia obbrobriosa, accendendosi in visioni arcane, metafisiche, libranti in liberatoria fame dell’anima vibrantissima che, non più a punirsi, in quanto dapprima recintata dai ricatti coercitivi, desidera adesso unicamente spadroneggiare di libertà selvaggia, ancor turbando chi puntualmente e con “puntiglio” dei più meschini, lapidariamente graffiante e di melliflua falsità, ne volle imporre le ragioni (il)logiche dello star al mondo a suo modo. Un modo violentatore, che stupra l’anima in maniera “invisibile”, per appiattirla negli schemi stantii del loro stagno limaccioso, già affogante in risate ruffiane, poltrente e asservito all’adeguamento carnale “ottemperante” soltanto al laido rituale “lavorativo” del piegarsi all’impiegatizia routine giornaliera, riscuotendo lo stipendio a fine mese dopo le consuete urla altrui zittite, punite, murate vive, sedate, picchiate nel sangue della lor vividezza florida, strappando la poesia ai cuori lucidi per spremerli alla “durezza” lor “intoccabile” d’apparenze perentoriamente par(l)ate nel culo, ove sempre van a parare coi loro discorsi “intelligenti”, ché sempre tergiversano nello spacc(i)arsi intellettuali, rifugiandosi nella “cultura” quando una citazione li coprirà d’altro (s)mascherarsi dietro il paravento di un’“eleganza” prostrata al prostituire invero chi son davvero soltanto per “rispettare” la parvenza della rispettabilità “combaciante” con la miseria del lor illuso credersi vivi nello sbaciucchiarsi quando son già seppelliti, forse ancor prima che spu(n)tassero, nel limbo patetico d’uno strozzar il prossimo, a lor parvente d’esser un irritante “disturbante”, nel perseverante respiro lor singhiozzante l’andatura lenta del tutto scorrere. Il lutto!
Allora, meglio il lupo. Che, ostinato, d’una testardaggine delle più bellissimamente nefande, insiste nella sua lotta sfrenata, vivendo una solitudine atterrente se questa è la condizione “esistenzialista” a cui s’è obbligati se non si cede ai ricatti “recidenti” l’innatismo, immutabile, della propria (in)alienabilità insindacabile, perché il di(ritt)o li ha creati come desiderò che nascessero… chiunque, barbaricamente, vorrà (il)lecitamente intenerirli all’addolcimento “cremoso” della vita “normale”, sarà sfidato.
Il duellante “cattivo”, designato dall’inevitabile “happy end” già sentenziato dall’umanità fratricida che lo (co)stringerà a dover morire dissanguato, comunque sia… non arretrerà… nemmeno un istante.
Questo si chiama masochismo? È autodistruzione?
Sì, probabilmente lo è.
E non erano cazzi tuoi rompere i miei “pian(t)i”. Mentali e d’anima.
Amen.
E ora che il mucchio selvaggio si scateni. Tanto v’accaniste contro noi, i “cani”, tanto creaste soltanto i cagnacci nostri più incattiviti, i lupi!
Ora, che il vostro branco provi ad azzannarci ancora.
Ora, come dice la Bibbia vera, a nostra distorsione e ritorsioni, siete voi le pecore in mezzo ai lupi!

Beffardamente, indosso i miei baffi. E lecco la schiuma del cappuccino.

Poi, raggruppo il mio manipolo di (ri)belli e vi facc(iam)o il culo!

Sarà un suicidio annunciato? Già, ma anche un omicidio tuo che ti sei (ri)cercato.

Chiamami Wanted.

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