di Stefano Falotico
Fine dell’erotismo puro
Ricordo la malinconia che mi possedeva romantica, aromatizzante strati densi di palpebre mie stesse arrossate e di come, cerbiatto d’ancora incurabile fanciullezza, declinai a memoria le reminiscenze di un periodo irripetibile, una mia gioventù scafata, mai scaltra e da “fringuello”, cazzone stronzo perché m’inculavo, a tambur battente, da solo, masochisticamente.
Fottuto nel masticarmeli. Sì, di come il tabacco schiacciai in cocco affumicato, stufato, stanco, incazzato, appollaiato ove il cuculo già nidificò in mio volar nudo di tutti pugni a tutti, prima delle “lobotomie frontali”, di come ne avrei prese e date, si chiaman batoste, e lo ribadisco tosto.
Di come, a un Festival di Venezia, di cui non rammemoro quante cosce di pollastre fotografai per poi masturbarmene in solitaria “solidità”… sapete, quando sei fragile in notti sempre bianche e hai bisogno per di più di stimoli visivi “platinati” per album(e) al tuo cazzo angosciato…, gemetti per un capolavoro che non ci fu. Per sussurrargli proprio un “Che cazzo fai? Dai, dai! Datemi il premio!”.
Così, un uomo simile a un topo, sfogliò la sua testa davanti alla mia, e tentò anche di miagolare. Sì, sulle prime, ebbi la certezza che fosse omosessuale e stava cercando, leccandomi, di “adescarselo”… il mio. Certezza che lui non mi confutò perché per tutto il tempo, con occhiatine, ammiccamenti, cazzeggiare appunto di forbita linguetta, mise pepe al fiutarmi e, annusando quel che pregustò, era lì a volermi solleticare…
Fu una bella giornata, ma non finì come voleva…
Sul resto, è piena la disciplinare di scartoffie (non) archiviate. Sì, lo denunciai solo perché ci provò. Non avevo prove a mio carico ma una bambina, che aveva assistito alla scena là vicino, ricordo che offrì a entrambi dello zucchero filato. Questo sconosciuto accettò lo zucchero e le disse “Devi crescere”.
Lei, risentita, chiamò il padre che stava vicino alla riva del mare. L’uomo lo picchiò e mi appoggiò.
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