di Stefano Falotico
Un’armata al soldo della morte rinnovata, struggimento m’intenerisci
Qui, in teutonica imperiosità, vergherò a vostra altezzosa signoria un prestigioso (s)fregiarla. Non s’arrabbi e non implori pietà tardive. Prima doveva pensarci, ché con poca dovizia tagliò e recise quando poteva scannare. E uccidere!
Ma, dallo scarnificato cimitero dei lor stessi peccati, un mio austero Principe rinomato sarà irriverente, spietato, fors’anche eclissante. Ché si spegneranno, travolti da un’insospettata furia, da una funambolica “cura” di particolari e pietre acutissime nel dur scheggiarli e, nelle fragorose ossa spezzate, “diluire” queste carni che abusarono con immoderata impudicizia.
Sarò dolce come un guanto di sfida, planante il lembo di cuscini che dormon beati ma da “rischiarare” nel ridestarli alla sveglia più altisonante, anche un po’ ferina e con Lucifero, di mia combutta, per presto saccheggiar tutti coloro che offesero, i ladroni, i truffatori, chi se n’è bellamente fregato e lavato le mani, sbuffando un “Arrangiatevi” da lasciar storditi. Noi, io e il Demonio, difensori degli oppressi, scalzati da un Mondo stolto e “integerrimo” nella sua falsità, nell’eloquio baldanzoso che spavento mi mette addosso. Sì, il Diavolo non è cattivo, credo sia verginello e difende le umiliazioni di quelli, per colpa vostra, caduti all’Inferno. La strada del Paradiso è “liscia” nel lastricare buone intenzioni? Io e Lucifero, allora, siamo i tentatori, ché della sciocca bontà oramai ne abbiam piene le palle. Con quale grottesca meticolosità il criminale ribaltò il crimine. Con quale “paziente sofisticatezza” giocò di biforcuta lingua.
E questo merita il Paradiso? Ha sempre rubato, sin dalla più “furbetta” sua infanzia, quando sgraffignava le caramelle dalla figa marcia di sua madre. Una che teneva a bada il minimo “piacere” delle sue masturbazioni tristi da solitaria però “sposata”. Un’infelice, il figlio non fu da meno e appunto di manina “delicata” affondava, per (rin)venire quel lercio deflorarla d’incesto “invisibile”. Quando ella dormiva, infilava le dita e afferrava il nettare di tanta sua genitrice scostumata.
Secca anche lì, morente “ambiziosamente” per un amante toro che la tornisse e d’avvinghiare con (in)sperato godimento.
Quali ornamenti i suoi “gioielli”. Eh già, tutta rammollita, flaccida, inacidita e ingiallita. Che schifezza!
Mai saziata, se la leccava fra zanzare merdose, “partorendo” la fritta(ta). Unta e putrida e quindi con nessuno ad alzarle la gonnella per fonderlo “alzato”, però “orgogliosa” a “zampillare” col bicchierino ai festini con tanto di piedino, porcellini più insoddisfatti di codesta gallina con le zampine, lardosa di voglia ma magra di non grattarla a gratificazione, una povera “figa”… davvero corteggiata o da “corteo” amorevole dei morti?
Eh sì, il racconto finisce così. Se il figlio è un idiota, la madre comprese il Male che gli trasmise nell’unica volta in cui scopò. Fra l’altro, con un maschietto ammalato di povertà mentale, perciò di “dabbenaggine” a fotterla… una vita da fall(it)i.
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