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La vera storia di Artù e della sua Ginevra, la troia!

Formato Cinemascope di Lancillotto che se la scopa!

Formato Cinemascope di Lancillotto che se la scopa!

di Stefano Falotico

Evocherò questa leggenda! Artù e la sua congrega, la spada ch’estrasse dalla roccia friabile e ficcò, con “vaga” leggerezza”, nella moglie già “piena” e pig(l)iata, che megera!

Soffoco gli attimi inquieti con morigeratezza mai fredda. Sì, anche quando “mastico” la “fame” nervosa nella sete diluente in caffè bollente… apro le fauci al sorriso e amplio la fronte mia spaziosa a colorito mai moderato.
Sprofondo nei pressi della “demenza” ma, in quella regione infertile e catalettica, simile al Caucaso, partorisco meravigliose creazioni, che dondolano “a piè” di piena Luna come pantofole annoiate in repentino indossare calzature sportive nella mia grinta caratteriale risorta a spaccarti il cranio!
Sì, faccio del cas(c)o “morto” in casa una scarpa per gettarti giù dalla scarpata.
E, alla “fonte” del precipizio, prima di buttarti giù, ti abbasso il tuo sempre tenerlo “innalzato”, “brindando” col tuo uccellino che poi gli avvoltoi divoreranno di residue briciole. Lo frantumo come il pane del Cristo nell’Ultima Cena, perché sono io l’apostolo, caro impostore. Dovevi sederti composto a Tavola Rotonda e rispettare il mio “capo”.

Rimpiangerai così d’esser mal nato, oh mio neonatale, perché Cristo è figlio d’una figa dal culo roteante della Cornovaglia. Ella fu concupita, sotto false vesti e inganno, da Uther il mannaro che, dietro un fraudolento patto col mago Merlino, riuscì a scoparla gagliardo in tanto di fuochi ardenti e camino inf(i)a(m)mante su abbrustolendoglielo dentro. Povera Igrayne, non so cos’avrei dato anch’io per averla e strapparle quel vedo-non vedo da danzatrice del ventre. Avere, averla con “violenza” per quell’ingravidamento “malefico”, che grande figa!

Artù non meritava un padre bastardo di tal (de)genere.

Ma godette “maternamente” di quelle tette sgorganti “incesto” a già “indurirlo” nell’Excalibur!

Sì, educato da principino, trattato da tutti come scemo del villaggio, ecco che miracolosamente “tirò” lo spadone dalla “cavità” con tutta Camelot a prest’osannarlo.

Beato Artù, amato da tale madre di ben di Dio. Igrayne, la bellissima belante!
Benedetto colui che “viene” nel nome del Sacro Graal. Puttana quella stronza di Ginevra. Lunga gloria invece a Galvano, a Perceval detto anche Parsifal che si fa i cazzi miei, lungo è il “mio” di barba (in)colta e giustamente arrogante come questo “omerico” racconto.

Riunitevi, miei fratelli della congrega, nel mio castello è ancor Giorno. E poi sarà sera e mattina! Speriamo non le solite trombatine da ubriaconi!

Che razza di Mondo, Dio di un porco!

Ora, Ginevra balla per me e mostra a questi poveri imbecilli, che stan sempre chiusi qui nella grotta “cavernosa”, l’origine umana della tua figa dilatante e dinastica. Spogliati con grazia, addomestica le rabbie di tali “apostoli” e scudiscia i fianchi, ti godranno fra costolette di “maiali” e un Lancillotto a cui farò la festa perché, senza permesso, ti ha “violato” varie volte quand’ero assente. Io battagliavo e Lancillotto con te giocava al “dottore”, in quanto ti “ammalasti” insoddisfatta da donnaccia priva del cazzo regale.

Te lo regalò Lancillotto, tu urlavi dimenando il dorso per aria ma, al mio ritorno, confessasti solo che ti porse del vino sulle “labbra”. Non me l’hai mai data a bere. Scrissi che Lancillotto non vale un cazzo, invece è il mio braccio destro più valoroso, non posso farne a meno. Infatti, gli spezzerò quello sinistro e anche quello “in mezzo”.

Ginevra, sei stata già maledetta. Da me, te la sei andata a cercare. Troia! Poche storie!

Non sarai la mia Elena perdonata perché ebbe una scappatella, di scopatona, coi proci. Non sono quel fesso di Ulisse. Ammazzo te e quel farabutto.

Botte a tutte le puttane! E ai loro papponi! Ché vi serva di lezione!

Non fuggirtela “a gambe” assieme al Lancillotto, non giustificarti di tardive scappatoie, mentecatta tardona.

Ecco la tua impertinenza sarà punita dalla mia “previdenza”.

Quindi, come sia scritto e “fatta”, slaccia la gonna e dalla ai baccanali.

Forza, che cazzo aspetti? Non hai altro che l’imbarazzo, appunto, della scelta… oh mia scema da selva. Non ti salverai da tutte queste salive.

E il mio non avrai.

Non lo sapevi? Più diventa Re e non più non s’arroventa.

Ehi, tu porco, avventati! Svestila e infilza come Excalibur!

Vaffanculo!
C’è rimasto da mangiare? Cristo, si son magnati anche la scarpetta! Puttana la Madonna! Ginevra, fosti da me sverginata!

 

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