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Estrai(amo) la vita, abbasso le viltà, nuova vivacità, (ri)sorgiamo infiammati e di forza passionale insanguinati, sciogliamo le nostre rocciose spade del cuore

Boorman Excalibur

Il destino, spesso a noi avverso, prevede invece imprendibili cambiamenti.

Il cammino impetuoso, cospargendoci di tante adiranti nevrosi, d’intimissime gioie favolose, oppure incespicante in una variegata, stramba, variopinta, imperitura notte insonne, riertosi poderoso, tanto sfamandoci quanto svoltando imprevedibilmente in vulcaniche, riesplose, immaginifiche, molteplici, trasformistiche variazioni mentali delle anime risorte dopo tanto nostro stesso infliggerci cagioni e sventure, superstizioni e angosce dettate da irrazionali timori di sorta, sì, alle volte rammaricandoci e, incupente, opprimendo i bagliori lucenti dei cuori squillanti, scoraggiandoci, deturpandoci e “usurpando” il congenito, vivaddio, sangue puro, blu delle colorate, felici “rugiade” del tempo ribaldo e rubino ma estemporaneamente strappatoci e rubatoci, scort(ic)ando le nostre scor(n)ate fiere (co)razze scordate o arrugginendo quel detonante esserci nati cerbiatti scorrazzanti, perpetrando torture (in)sopprimibili alle nostre vite messe a dura prova e (s)tremate, duramente tanto (s)colpite ma giammai dome o stanche, può rifortificato d’immensa, fulminea folgore, non più infrangerci ma, curandoci proprio dalle coscienti escoriazioni delle anime scuriteci, ricucendoci dall’oscurità annerente all’un(g)ente rinata beltà rilucente, festoso, fastoso, innocentemente rivivendoci bello, sconfiggendo ogni tetraggine e tutti gli oscurantismi (s)battenti, ribelle a noi, ancor bellissimi come dolci, coraggiosi (in)fanti, questo stupendo tempo, in passato tanto incatenante, or innervandoci di romantico caldo rovente, dopo il tempestoso batter del vento gelido, dopo la plumbea, melanconica neve sciogliente i noi più focosi, il tempo reincarnato, dal disincanto ner(v)o, fervido, a incantarci di splendente eternità sbrinata, inebriante delle umorali e più sorprendenti dinamiche cangianti, proprio tatuandoci in una pelle del cuore rifulgente, sin ad allora insospettabile, cavalcante nuovamente, magicamente incantante ci risprona nei furiosi scalpitii tonanti dell’intonarci alla vetustà più magnifica e lucidamente magnetica.

In tal mondo, ove l’ignoto, soprattutto della nostra anima, per timor che, svelandola, possa spaventarci proprio della feroce bellezza stupefacente di noi ancor vivi pulsanti l’emozionale sentir viscerale dell’io più (in)conscio, a titanica lindezza delle rinate forze riscaturite da quel che c’apparve un imbattibile, tristissimo buco nero, logorante nel sopprimerci in quel nostro vero essere, qui furiosamente c’è fantastica (ri)sorgente.

Stupiti, gli uomini mediocri, i pavidi convinti che Artù fosse solo un figlio minore, a incanto del suo estrarre Excalibur, inchinati dinanzi a tal allucinante, miracoloso prodig(i)o, esultarono in gloria immortale, immolati alla meraviglia… della vita illuminatasi d’atroce, enorme splendore e potenza.

E credettero al Sacro Graal, non perdendo mai più la speranza ma, intrepidi e agguerritissimi, combattendo invincibili per un mondo migliore ove è il mistero più incredibile del voler attraccare alla rispolverata purezza, soprattutto di noi stessi, davvero ad attrarci, al fiume fascinoso, (s)velato in Sol madido di vita illuminante, a farci enormemente risplendere grandi.

 

 

di Stefano Falotico

Excalibur

 

 

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