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Il brivido è mio animo e amico, l’asma dei borghesi mi commuove cerebralmente e mi rattrista in forma (a)nemica

di Stefano Falotico

Nonostante anni in cui mi son affaccendato a spacc(i)armi per comune mortale, stanotte, mi son recato da un barista già condannato giorno e sera ad assistere allo sfacelo di gioventù “imbucate” e bruciate nel biliardino d’una vita andata irreparabilmente a puttane e a culo, e ho sorseggiato i suoi occhi profondamente ammiranti la mia irrefutabile bellezza mirabile. Di come, da dietro il bancone, subito si è accorto, accortissimo, quindi lungo di comprendonio, che io sono un diverso rispetto ai branchi lì accanto in sua zona verticale d’annuire a ogni violenza di questi ragazzoni cafoni, inguinali con troiette a carico di carezzine e bacietti sconci in bocca alla romana, una violenza fottuta, velata leggermente ma visibilissima che appunto lui, il barista stanco, nauseato, imbevuto di stronzate, adocchia ma a cui, impotente, oppone sol la sua (l)abile (r)esistenza neutrale e marcia(tore) del farsi i cazzi suoi, ammesso che ne abbia almeno uno, dato che gli scassan a ogni minuto le palle, rompendo peraltro le stecche nel pisciar, spesso, di striscio sui bicchieri altrui, ove mischiano il lor puzzo rancido da scoreggioni magri e “palestrati” su sudori “freddi” quanto le lor sempre irte calure bisognose di quelle lor vacche, che chiamano fidanzatine, da rimpinguare di botte nei cessi, quali sono, su calore dello sciacquone e una mano lava l’altro di scambi orgiastici ché tanto una vale l’invalida pronta all’uso e getta(la) su scommessine di altre gettoni.

Al che, ho ordinato il mio caffè, l’ho scolato bello che bollente di molto indubbio e “doppio” gusto su personalità multiforme personalissima, ho pagato da bere schietto, osservando quei fisichetti e le fiaschette, e ho chiesto di poter cagare, etto per etto da maiale, in testa a queste testoline che (s)parlano solo di pararselo con un lavoretto copri-magagne. Paraculi testicolari. Io sono più serpe tentacolare.
E il barista mi ha risposto, ben felice, “Prego, si accomodi, anzi, faccia con comodo. Dopo, quando avrà finito, si ricordi di tornare al bancone, le offrirò il locale intero ora che lei l’ha ripulito dalla feccia”.
Al che gli ho replicato che vivo da disoccupato contento e fiero, non sono una fiera, nonostante gli animali da me sfanculati, e non sopporterei (man)tenere un bar oramai di stronzi con la mia merda a vista d’occhio ché, a sol ripulirlo, occorrerebbero almeno cinquemila passate di quelle passerine ammuffite simili alle scopette e briscola dei vecchietti discoli lì nel “didietro” a trangugiar del vino liscio.
Quindi, con grande classe, mi congedo di nuovo dal tutto lutto, da lupo menefreghista, tornando in mia casa su motore alzato di radio a bassi toni per non dar nell’occhio alla società sorda e a me miope.

In poche parole, sono lo spurgante. Evviva il mio spumante!

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