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R.I.P. Lou Reed, racconto nero al languido

Lou Reed

 

Firmato Stefano Falotico

Cantore delle solitudini di miei candidi cantici, creatura ombrosa a fragor perpetuo dei rifulgenti flussi vitali

No, per quanto “astinente” da un Mondo pernicioso, nessuno m’ha vinto. Osarono in tanti a sfidarmi, anelaron ad ammazzarmi, ché mi disossassi in cortei funebri d’imbastire un me “morto dentro”. Ma preferisco l’angoscioso solleticare i profondi ritmi isterici, sguaiati dello sbranar me stesso, e non aderirò mai a quegl’imbattibili can(on)i d’una società che s’abbellisce dietro una camuffa moderna d’accapponar la pelle più d’una sintetica pelliccia.

Io vivo d’eteree suggestioni, pigliatemi per matto e avrò soddisfatto totalmente il delirio dell’essere mio, a valore contro i valori retrogradi d’una bigotta mentalità da farlocchi. Quanto farneticate, vi pittate di moda dei visi già tumescenti, sull’orlo del collasso emotivo appena il vostro trucco “attento” a… toccar di (ri)tocchi. Colate sbavanti e infierite di più tenaglie ché, martire, mi reprima “restringendolo”. Ma eppur vengo sempre… avvenente più di voi, insuperabile fra carcasse “altolocate” di chi è già nel loculo, che non vede né sente, da vero “toccato”. Passeggio disamorato perché solo dal buio si può, ogni volta, illuminarsi a luci nuove.

Beccati questa, non metter più il muso, becchino! E tu, cornacchia, stai assieme alle racchie. Sei da seppellire nel buco!

Fui stufo di gente arrogante, già senescenti prim’ancora di viverla. Non avevano neppur gustato un pel di figa e sono, quindi furono…, eccome se in un funerale da far… spavento. Anali dalla nascita, annuale fin(i)ta morigeratezza. Siete da recite parrocchiali! Sborrate di bionde e scoreggiate peggio del più bifolco barista. Io non baro mai e odio le vostre bare. Non potete sbarrarmi. Sbando! Sciolgo i miei capelli, oggi lunghi e domani ras(at)i per non abbarbicarmi alle vostre ciniche rasoiate, in quanto scolpisco ringhiante i venti a me mesti e poi, repentino, discendo presto ascendente fra una strada tortuosa digradante in tal suburbano degrado e una serpentina… a sonagli in mezzo alle lucciole rosse. Ascoltatemi, discepoli, sono la saggezza! Voi rispettate i segnali, io non do precedenza neppure alla mia ombra, poiché mi sfamo di crepuscolo. Scroccando da parassita mio beneamato di non darvi un cazzo. Sì, mi schiocco le dita, cari sciocchini con le ciocche.

Così, esondo fra piogge inondanti la mia infelicità superba, momenti imperterriti d’imperturbabile imperscrutabilità anche a un’anima “luttuosa” ch’annerisco di più strategia metodica, autodistruzioni rinascimentali, ché dagl’imperanti tormenti nascon le idee migliori, quelle to(r)nanti, una bevuta di gassose senza limonate frivole, un prenderla a culo se vuoi piazzarmelo, indosso l’impermeabile d’ove la temperatura ambiente è più habitat. Oggi dentro l’abitacolo mio d’una macchina a mo’ di bugigattolo del giocar con voi, i bugiardi per antonomasia. Delle emozioni siete giocattolai raffreddati! Io tergo il cristallo! Festeggiate già gli onomastici, santificandovi d’iconiche tutte vostre beatificazioni. Poi, è sempre la fornicazione il chiodo… fisso a cui volete crocif(r)iggerla. Poveretta, Cristo! Di mio, conosco le pa(de)lle in testa a te, mio capa tosta, t’apro il cranio e, di scatola tua nera, scopro che neanche scopi fra gli abissi di come menti perfino il tuo non “sommergerlo”.

Te lo spacco io! Sei uno schifoso spacconcello, appioppi patenti a tutti, sentenzi e poi sviolini per altre leccatine… lei te lo succhia e, per tenerlo in forma, il succhino di frutta alla “banana” (im)bevi.

Posso darti un calcio secco, un con(s)iglio o direttamente quello in culo? Sì, non dovevi (inter)ferire. Io non userò i disinfettanti, fetente. Alle ca(ro)gne offrirò a te un Caronte. Ti traghetterà all’Inferno, mio “drago”. Eccoti il tè caldissimo! Ti drogherà nel rogo. A parte che, in quanto a rughe, già eri molte righe.

Di mio, sono questo. Se non mi (a)dori, allora ad arare. Io m’adoro, io ho l’aureola. Sono Arte maiuscola! Ho anche dei bei bicipiti, il muscolo più forte è ritto, di sana e robusta costituzione. Una “fisarmonica” allungabile delle più elastiche…

Prendi la tua bella e lascia che beli con te… a queste sodomie preferisco il fieno. Non è sangue di fiele ma realismo di mio animo e non un ipocrita mieloso quando poi è il solito “duro” che la pen(s)a così.

Sono io a cambiarti. Adesso, torni indietro e attorno ti torchio, tonto.

Torello!

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