di Stefano Falotico
Leggende maculate nella pelle di cuoio d’un glaciale, freddissimo Clint Eastwood che, dal profumo innervante torpori alati del suo revenant sconsacrato, sigillò a noi la punizione estrema, la più esemplare…
I corvi gracchiano, i cieli imbruniti son stanotte scolpiti da “balorde” nuvole d’una epica ritorsione.
La malefica crudeltà odo che vendicata sarà. E gemeremo tutti, modellati al comando d’una onnipotenza biblica, ritornata da vetuste stagioni oniriche ch’assediammo per macchiarle con la nostra immonda vanità. Seppelliti, ascia di guerra a scagliarsi affilata, appuntita in un mirino dal fucile furioso, affamato delle nostre carni, del nostro laido godimento da giullari sempre plagiatici nel sesso dilettevole e al Principe così tanto rinnegato. Fra i venti, colgo i fruscii d’un livore che c’accecherà, un cecchino a sventrato suo, che fu, nella fosca rimembranza qui detonata di vivida potenza infocata per debellarsi dalla putrescenza di noi che, sdegnosi, marciammo sopra la sua lunar anima, illividendola quanto, nel deperito apparente, brillantemente dentro un inferocito ricordarci il Male. Rispuntato da zone che credemmo, illusi, d’aver soggiogato e plastificato in vitro. Una sua vittoria, eccentrica, la spirale dell’assassinio prima perpetrato d’avidità irriverente, con sporca impertinenza a lordar il Principe all’epoca “disarmato” e vulnerabile, erta nell’orrore a noi più concentrico.
Ci ammazzerà con puntiglio e sofisticatezza, una balistica strategia del suo Cuore, che divellemmo da serpenti, nell’infliggerci la punizione più imprevista, quella che, nell’impaurir noi tutti di terror lento, non arretrerà un istante. Essa s’arresta, l’ira è poi più funesta. Di titanico funambolismo, ha sgretolato gli argini del nostro averla addormentata, o aver creduto d’aver il Principe sedato. Dal fumo delle nebbie, sentiamo spaventati un (l)abile sparo, nel labirinto dei nostri peccati ci rifugiamo mentre il Principe, d’acuto e maggior splendore, rifulge. Ma scappare è solo suo acuir averci già (in)tagliato nella forza vereconda d’un giusto suo Mondo che c’ostinammo a invader con “leggiadro” nostro marcio sudore a mano armata. Non l’amammo quando potevamo e ora deve sbranarci. Sbriciolati, pezzo per pezzo, noi gli animali.
Mi ricordo d’aver colto, anni fa, in un locale umido da noi gracili spaventapasseri nel già vibrare di paura inconscia, il presentimento che la tragedia, se non imminente, “ritardata” s’era già paventata a nostro, sì, respirarla con pavore. Tentammo d’espiarla nello spiar il Principe e indagar, maceranti, alle origini “celate” della sua scelta di vita da solitario.
Io presi “armi” e coraggio. E gli domandai se credesse all’amore. Sbuffò, annoiato e infastidito, da quell’appunto invasione alla sua già eternamente lesa, sacra intimità. “Annuì” per compiacermi ma, di scatto, m’alzai dal tavolo, uscii tremando. Fuori, estrassi una sigaretta e l’aspirai di nervi congelati.
Compresi che, in quella risposta, secca e immediata, consisteva già la sua elegante vendetta di enorme levatura morale e signorilità. Tre sole boccate, mi s’incrinò lo sterno. Chinato, addolorato da un impercettibile eppure devastante dolore, caddi con fragore a terra. Nel mio sangue polmonare asfissiato dall’orrore.
I miei occhi, bruciati di secchezza “mortuaria”, si risvegliarono per sempre funebri. S’era levata la mortal vendetta e, con cautela e spasmodico gracchiare, urlata, strozzandoci d’asmatico bacio della sua apocalittica morte, saremmo stati puniti nel già giacere riversi all’Inferno delle nostre tutte colpe.
Un solo suo battito di ciglio, il canto del suo cigno da unforgiven. Un lussuoso esistenzialismo “roco” e crescente di rancore, a stuprarci stavolta lui perché infrangemmo il suo sogno da Gran Torino.
Un mostruoso ritorno.
E fu, da allora, che iniziò l’inarrestabile nostra fine. Lo straniero senza nome aveva appena appiccato un vibrante, silenzioso fuoco.
Impiccati tutti, coi colli da porci a penzolar dalle travi, immolati al suo fulminante delirio.
A piangere, strangolati dalla sua morsa inaspettata, incisa a recidente, “suicida” nostra fune.
Ce l’eravamo cercata. E ci stava, come orchi e ora eterna, bene.
Questo è il Male.
Questo è Dio che è tornato sulla Terra per la vendetta “sacrilega”.
Bestemmiamo pure, non servirà a nulla. Fato è già fatto, noi siamo già tutti morti.
Così il Principe ha deciso.
Lunga gloria al Principe, infinita morte a noi.
Sepolture.
Amen.
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