di Stefano Falotico
Ultimamente, molte cose non vanno benissimo. Provo a tirar acqua al mio mulino ma imbarco solo un Sole già sbiadito che scoreggia fra nuvole del mio tramonto vicino al cam(m)mino bello che bruciato tanto quanto, avendo pochi soldi per vestirmi, la toppa in mezzo alle gambe che sta facendo fuoriuscire quel mio “arnese del mestiere” che, a contatto col fuoco, ardendo, mi sa che devo cucinarmelo perché le quaglie son ammuffite a causa del mio frigorifero senza luce.
Anche il “riscaldamento” deve prendere una “boccata d’aria”.
Eh sì. L’uccello va a f(r)asi alterne.
Sì, è troppo colto e, anziché darsi alle cagne per sfogliar le lor crostate millefoglie, sfoglia l’enciclopedia Treccani. Sì, non posso criticarlo per la sua levatura intellettuale, è sempre preso a citar i filosofi medio-orientali perché non si alza “perpendicolare”.
Basterebbe s’eccitasse per le donne, invece, appena ne sente parlare, volta pagina e si (ri)posa, come al solito, fra il pensieroso e l’ammosciato, annoiato e non “montante”, sui nomi dei musicisti cecoslovacchi del diciassettesimo secolo.
Mah, io gradirei che talvolta lo suonasse a qualche rumena di culo a mandolino, evitando però le italiane, tutte da pizze in faccia. A quelle basta servir un po’ di “mozzarella” e vanno di pummarola “di corpo”.
Che merde.
Sai che besciamella, cazzo.
Sì, il mio uccello sta perdendo le “carine” e pure le car(t)uccie, funziona meglio quello del mio ciuccio, che sta là, vicino al pozzo, puzza ma sa ingropparsi la mucca pazza, con le pecorine che applaudono fra un esser mangiate dai lupi e le quattro stagioni capricciose di tal vita scorrente, al pascolo delle mie “ascolane” olive essiccate a causa appunto dell’uccello non più cacciatore… a volte, vi spruzzo sopra dell’olio piccante per veder se reagisce ma resta a mangiarsi quello in bianco. Che “riso”.
Il mio uccello ha perso la mira dei bei tempi frenetici e “ficcanti”, adesso “spinge” solo i tasti della mia vecchia pianola Bontempi.
Contemplando il triste, autunnale tempo crepuscolare vicino alla notte nera senza vagine arruffanti.
Almeno, se desse la caccia a qualche furfante che ce l’ha col femminismo, sarebbe per le donne cowgirl fantino.
Eppur beve soltanto le botti piene dalle vigne di frizzantino.
Però, quando mi fa “incazzare”, piglio la pistola, la estraggo dal cassetto e premo il suo “grilletto”.
Sì, credo si sia effeminato.
Per veder se “masturbandolo” un po’, si olia d’ingranaggi da rinnovarlo di rodaggio per un buon muliebre “pestaggio”, aziono la “rotellina” del suo cervellino.
Il mio uccello invece sta zitto e “mulo”.
E quindi, ammutolendomi perché non ho più p(a)role, penso che sia meglio così.
I bambini son cagionatori solo, quando cresceranno, di (s)fighe.
Ho già il mio cazzo da mantenere, tu pensa ai tuoi.
Ti sei voluto sposare quella campagnola, e allora adesso devi allev(i)arne quattro, il tuo, più i tuoi tre pargoletti già porcellini.
Senza tener conto che sono io lo sceriffo.
Insomma, già di “mio” non posso dettar legge, quindi non rubarmi il latte di tua moglie.
Per ora mi accontento di (m)ungerla.
Domani, rosso di sera, speriamo “fiorirà” l’uccello da me sbattuto in cella, essendo sceriffo intransigente contro chi si mette contro il mio “gelo”.
Scende e sale la Luna.
Prepariamo degli spaghetti prima dell’alba.
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