Nobile zolfo
Adoro il profumo della mia pelle. La mia pelle che s’accartoccia in sigarette profumate di fantasia. Alle pendici di torpidi vulcani avviluppanti nella nevralgia mia adirata in volto, sbraitante furore misto a languori di mai pace rasserenante.
Qui, tra viventi spaventapasseri dalle lugubri maschere carnali, la poesia è svanita, sepolta da un cumulo di tronfie sconcezze. E, ove la noia regna sovrana, è riscaturito il principe fastoso della sua malinconia risorta. In gloria atea, combattiva gli obbrobri che una società caudina sta perpetrando con acuminate e sempre più sfregianti risa stolte.
Io, il principe, che m’aggrappai lungo i monti delle crepe alla mia consacrata anima contemplativa. Violentato a muso duro dall’irriverenza, golosa del mio cuore, da deturpatori feroci e volgari sovversivi della mia pudicizia mentale. Frivoli masticatori del loro efferato pasto nudo… scarnito in mio corpo, immolato alla profanazione di tal mendaci cere funerarie, qui grido la mia ira, esorbitante irrido la strafottenza loro sbiadente. Perché sono cannibali celati in camuffa, sguaiati brindano allegramente la tristezza mortifera delle loro patetiche e ruffiane gioie.
E non allento la morsa perché, tanto m’attanagliarono con proibizionistici ricatti, tanto ora vedranno le mie spalancate fauci a ingurgitare questo lordo lor malefico gregge di pecorelle così però leonine nell’azzannar con denti d’aguzzini spietati, tribali al ludico godersi pasciuti in quel che digeriscono come visione savia della loro invera putrefazione già avverata. Ed è vero che li ucciderò a macellazione memorabile, perché stanco d’obbedire a queste regole divoratrici. Mai chinante, li miro di vendicative trivellazioni.
E mia ansia…
Esornati in magniloquenti orrori, con fiera insistenza incisero le mie membra affinché, stuprate, lese e depurate d’ogni magica candidezza, si prostrassero a lor diletti. Oh, davvero gioviali… Ma qui commisero l’errore più orrido, aver premuto di tanta testardaggine m’ha solo rinforzato in più ribelle, taurina potenza di fuoco.
Vittorioso in mio accecante canto del cigno, spengo i loro occhi a virtuoso incendiarli in mio sacro diritto alla vita, che loro rubarono, saccheggiarono da pirati felici d’esser così oscenamente avidi di tutti i miei liberi respiri.
Annuso le scogliere caste della Francia più splendente di nobiltà, graffio le mie labbra nel rosato arrossir le mie iridi frante ma da loro non insudiciate.
E, ucciso da tanto squallido fragore di questi urlatori, incitanti alle cene orgiastiche, vampiro della mia anima intatta, crepito in stupendo librare alto e scevro d’ogni altro loro (im)perfetto delitto.
Arpiono la spada di Cristo, offeso dalle carnalità agghiaccianti dei borghesi più ottusi, tanto finto innamorati quanto belligeranti e brucio in Croce mastodontica della punizione divina a loro inflitta di redenzione soltanto alla morte che incarnano, adesso illusi di vivere, nel già essersi arsi dalle fiamme strangolanti dell’Inferno illuminante.
Sì, morirete, rosicchiati da me, il principe divampato a furia rossa.
A castigo vostro impartito con forza di Dio teutonica!
Morte!
Recent Comments