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Racconto di night by Stefano Falotico

Topolino Fantasia

Romanticismo e nervi saldi del (suc)cesso che sale…

Muto, incastonato fra pareti della memoria, con una mia voce che si dileggia fra spettri e un cadavere ambulante del mio fantasma. Poetico, danzo in lacustri inganni d’un passato fuggito ma ruggisco, assopisco il Cuore che bacia una carezza scolpita d’eterna impressione al volto di rugiada scivolante in gambe tue leggiadre, svincolo in una povertà “miserabile”, vinto e vivo al confino, l’emarginazione dei miei traguardi dimenticati, di soldi buttai nel cesso, spesi in frottole e “vettovaglie” d’una immaginazione per me, solo e abbandonato, sventolante palpebre smorte che ci sono, esistettero e resiston madide d’una “sporcizia” che ado(r)no, lussuria svestimi e canta all’alba in schizzi fragorosi d’un incanto mastodontico, erra cavaliere notturno, un errore ché t’è costato tanto…, ma sper(per)o ingannevole al naso mio stes(s)o bugiardo, affido un po’ di pargola malinconia a un funerale che ritempri la voce coraggiosa d’una lagrima del “piagnisteo inutile”, io l’odiato che amo ingenuo, spezzato e rancoroso e dunque ancorato a quel che m’è rimasto, ma si mastica, mi stritolo in angoscia temp(e)rata, non esisto e frammentato residuo svengo senza lasciar la preda delle scie trascorse, un po’ orso e un po’ cavallo di battaglia quando ergo un racconto che vi faccio leggere, ché i posteri ricorderanno un mio diaframma roco, flebile e che nessun vede?
Di ques’umanità senz’identità (s)comparsa di onori, il valore mio non s’è spento, combatto e lego al palo il vigliacco mai ero(e), rinnego l’angelo che sulla fronte mi bacia, piango e ipocondriaco me la meno, non espello neppure una mia ammonizione su quanto peccai. E sapete perché?

Perché non valgo un cazzo ma il legno mio lo tengo dritto, non si sa mai che vada ficcato a qualche stronzo con troppe fregole per la fregna. Sì, ancora so come fregarvi e com’appunto raccontarvele… bene, figli di puttana, v’infilo questo, non v’infilzerò, il mio carisma lo (pre)tende, stendetemi uno svelto vel pietoso, oh miei frettolosi da frutti di bosco, io sono strenuo, io narro e bravo esigo.  E che cazzo! Basta con gli sterili, siate fertilità al mio pensiero!
 

Pronti per la sparata? Come no? Ah, capisco… la signora in terza fila ha fifa che possa bagnarsi nelle mutande di “commozione”. No, eviteremo indugi alla retorica, un racconto come Dio comanda eppur “toccante”. Eh sì, sono o non son il toccato? Infatti, il racconto si chiama “Lo struccato”.

Mi ricordi di tempi fottuti che non han niente a che vedere con queste quattro scamorze. Sì, una volta i topi mangiavan le fragole con dei formaggi al peperone, poi si ubriacavan di zoccole della buona “zampogna” nello scantinato. Oggi, invece? Un sedile reclinabile, una tastiera ergonomica e ti sbatton in manicomio se fai il lupo.
Fine.

Un fratello della congrega alza la mano, poi ci ripensa e urla che fa schifo.
Le donne, “commosse”, lo cingono di baci e gli sussurrano che, scopando, capirà.

Applauso!

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