di Stefano Falotico
Il Cinema della vendetta, forse il sentimento più bello e sexy dell’umanità perché…
Perché la vendetta s’origina sempre da un torto di proporzioni madornali e, nel vituperio della deturpazione, se risorge il furore in chi è stato scuoiato nell’anima, le anime dei malfattori verranno parimenti punite esecrabilmente, con un’efferatezza fredda da far paura, propagandosi nel silenzio solitario della ruggine dei combattenti, in tenui, scalpitanti sospiri a ingigantirsi di polmoni, rafforzandosi s’enfierà cosmica, a sacra dignità offesa e, in brandito urlo luciferino di guerra, a sterminio della razzia di coloro che inflissero il male.
E dalla voragine spaventosa si tagliò il sereno spiraglio all’anima arsa e annerita, nel fuoco del candore ribaldo bruciato dai carboni della lor untoria carne, una splendida luce, dapprima fievole, aggredendosi di lotta sfrenata per non morire, stritolata d’ira, giacerà poi limpidissima nell’assopire i crudeli con spalancamento di fauci fenomenale e irresistibile.
E morirono, uno dopo l’altro, travolti dal miracolarli perché peccarono ma furon salvati dal flagello viscerale della ripercussione tonante.
Qui, fratelli della congrega, vi narro una triste e dunque felicissima storia, che potrete scambiar per pura invenzione ma invero io vi dico ch’è vera come le acque del Mar Nero su cui Mosè camminò spartendole in due e sul Monte santo del Sinai poi salendo, è vera e urlante, ondosa, punitiva e tornante come la cristallina rinomanza soave del Giordano alle cui rive Cristo nacque e dunque vi camminò, planando nell’estasi gelida del figlio di Dio, perché il figlio di creò l’Inferno in Terra, qui nostra tormentata, e, con acutezza straordinaria, seppellirà chi sotterrò la sua anima nella miscredenza e con la superstizione della fasulla modernità da frivolezze e velli d’oro. E quel giorno vedrete la Luce, e Dio vi benedirà, accudendovi in suo morbido respiro, perché anche nel Paradiso gemerete soffrenti il tormento della vostra giusta vendetta!
Ora, cingetevi ad ascoltarmi.
La vendetta è breve quanto il mio concisissimo, lapidario racconto.
C’era una volta un uomo non sopportato perché più bello degli altri, inevitabilmente più bello, in tutto e per “tutti”. E dunque l’intelligenza fatta metafisica e grandezza totale.
Al che, vollero, per invidia delle più schifose, che soffrisse come tutti gli handicappati, cioè l’umanità intera. E che s’accoppiasse ridanciano con le donne, poi si divertisse e lavorasse come tutti gli altri gobbi. Perché solo così potevano accettare la sua superiorità, nel volerlo assurdamente rendere un comune mortale con desideri cretini e la puzza della f(at)ica.
Ma lui non volle assolutamente, essendo l’assoluto eterno, affatto cambiare, allora lo fecero passare per minorato mentale e matto, calunniandolo dappertutto e coprendolo degli insulti più merdosi.
Perché si abbassasse alla loro statura…
Egli si piegò alla loro “presunta” umiliazione, s’attenne, per filo e per segno d’ogni ferita possibile, al diabolico linciaggio. Ma non morì.
E, quando il suo corpo riprese nuovamente la sua anima originaria, da predestinato, tornò e li ammazzò.
Perché lui poteva tutto e “tutti”.
Quindi, si recò a tarda notte in un bar e chiese da bere. Fu servito, bevve ma non pagò.
Il barista minacciò di chiamare la polizia per multarlo e lui (non) lo ammutolì con lo Sguardo…
Uscì e il barista telefonò alla polizia.
Il nostro non scappò ma rimase ad aspettare l’arrivo della polizia, quindi tornò nel bar, ove erano nel frattempo entrati i poliziotti. Il barista lo additò, dicendo ai poliziotti “Eccolo, è lui, deve pagare!”.
La polizia, con far duro e quasi già manesco, a grandi passi… gli si avvicinò.
Ma egli, prima che potessero toccarlo, li placò, sussurrando un sorridente “Nessun problema, è stata una mia distrazione, ora pago al barista, che è un brav’uomo, quanto io devo…, anzi, per farmi perdonare da tale stolta dimenticanza, gli darò il doppio di quanto dovrei, oltre a dargli anche la mancia”.
La polizia si calmò e rispose un pacato, sibillino e (in)giusto “Bravo, così si fa”.
Il nostro si avvicinò al bancone ed estrasse dal portafoglio le monete, consegnandole delicatamente nelle mani del barista.
Il barista, ora riconciliatosi col nostro, s’aprì a un giocondo, soddisfatto e rasserenato sorriso.
- Ora, i conti tornano, grazie.
- Prego.
Poi il nostro uscì e diede una pacca sulle spalle ai poliziotti che lo salutarono augurandogli buona e contenta vita.
Fine.
Al che, tra i fratelli della congrega, alza la mano un mio (in)fedele e, stizzito da questa storia senza “senso”, mi apostrofa con far ardito…
- Maestro, ma che razza di storia è mai questa? Fino a un quarto del racconto l’avevo capita, da quando il nostro si reca al bar, non ne ho compreso il significato.
- Perché non puoi capire, il maestro sono (D)io.
Comunque, la morale è questa. La spiego anche a voi perché, essendo voi appunto gli inferiori e io Dio, neppure voi l’avete capita né potete capirla…
Ora, il nostro ammazzò i criminali che vollero ammazzarlo per puro divertimento e la polizia fu messa in “guardia” che un “uomo” aveva compiuto la carneficina vendicativa. Quell’uomo fu subito identificato, era facile riconoscerlo, era lo stesso uomo che fu spedito dai poliziotti per le invenzioni criminose dei criminali, appunto.
Ora, l’avete capita?
Ancora no, vero?
Ok, il nostro fece apposta a non pagare affinché il barista potesse chiamare la polizia, che lui aspettò pazientemente, senza batter ciglio.
Ora, l’avete capita?
Ancora no, vero?
Ok, il nostro voleva vedere e constatare, come Dio appunto con Abramo, se la polizia era in grado di meritarsi un posto in Paradiso, lasciandolo libero…
Ora, se non siete gli stupidi degli stupidi, credo l’abbiate capita.
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