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Stefano Falotico è come Poe, il Maestro

 deniriano 21

Oh, miserabili miei detrattori, dopo tutte quest’offese, generate dalla vostra “indecifrabile” invidia, ammetto che demoralizzato stavo per abbattermi.

Ma dinanzi a me si spalancò la bocca della creatività e, dall’imminente precipizio, oh che baratro di miei indistricabili meandri, ascesi “maledetto” e baciato da un Angelo salvatore.
Egli “calò le brache” per iniettarmi forza proveniente dagli energici mari del Nord.
Soffiarono virulenti a illuminar il mio cervello obnubilato e, d’appannanti pulsioni autodistruttive, fui preda del Demonio che si stava scelleratamente cibando del mio armonico fluido vitale.
Anima, stavi deperendo, anchilosata da vipere e sanguisughe ad avvelenar il mio pindarico furore.
Dagli abissi di quest’imponderabile Fato, riemersi lucentissimo e in grazia divina innalzato per voi.

Fratelli della congrega, vi prego d’osservare un lucido minuto di raccoglimento.
Strofinatevi a me in santità. E, respirando nella beatitudine, alleviati da ogni trauma v’incarnerete nella bandiera sguazzante dei più vibranti colori.
Mescetevi e baciatevi, donne elargite i vostri capezzoli, ne berranno i fedeli a “spine” nella taumaturgica fame da (t)ergere in ludico, assatanato arrembaggio.
Miracolerò i muti e parleranno nella voce or altisonante, che rauca s’attorcigliò nella gola essiccate delle vostre stolte goliardie, ledeste le musicali lor coscienze, rapendole a ostaggi ricattatori.
Da quel “catarro” del vostro sputar loro con ignominia inenarrabile, la repulsione a tal avvizzito coro pusillanime si ribellò scorticata.
Squartato, l’urlo sepolto dapprima scricchiolò in rabbia nervosa, poi con dolcezza s’elevò a prostrati ora voi da perdonare perché siamo la fastosa allegria delle feste, del riso abbondantissimo che non si vergogna la sua sfacciata grinta.
Oh, corpi raggrinziti, innervatevi al mio Dio, udite con qual glabra Bellezza, dopo tanto sofferto raschio, dopo tanto silenzio vedete ora la Luce, miei ciechi.
Guarda quella Donna, mio amico, ti sta solleticando e tu ancora fuggi per non gustarla.
Ti sta sussurrando l’agonia tua da rifocillare e sanare nella sua figa altera, sì, sii ateo e giura promessa universale solo al Credo del tuo viverla.
Dissanguatevi come Dio vi creò, maschi e femmine donatevi sensuali carezze e raffrenate soltanto la troppa irruenza se tanto amarvi vi arrenderà amareggiati.
Può succedere. Lei ti guarda ma forse hai frainteso per colpa dei tessuti “artificiali” del tuo inghiottito antropofago smanioso.
Sì, il Sesso ci pecca, ci slabbra… ingoiatevi in generoso piluccarvi. Leccate e voletevi tutti bene.

Ma non esagerate se non ancora la vetta mia suprema non superaste. Sperperatevi ma non stupratevi.
Potreste sbandar di degenerato parto infetto dopo eccessivi amplessi.
Sforbiciatevi, snocciolate il guscio muliebre e arrotolato come rovente sigaretta.
Mordetela, assaporate ogni tiro…, vi sto ordinando di correre da innamorati.
Non tremate, questo giocondo Sesso è il nostro delirio più profondo.
Donna, sì, sprofonda in me e sii lascivia in me che slaccerò i lacci emostatici del tuo dolore, dorandoti di sconfinati piaceri.
Inginocchiati e bevi dal mio calice.

Fratelli della congrega, il minuto è trascorso. Riflettete sulle mie parole, la vita è una scoperta.
Speriamo che quella del primo banchetto la scopra. Sì, voglio scoparla.
Anche sull’altare. Perché sono il satiro satanello, miei scemi saltimbanchi.
Non bacchettatemi, il Maestro sono io. Sono io che do e Lei mi dom(in)a.

Applauso!

E la folla, in visibilissimo visibilio, allibita si depurò da tutte le illibate inibizioni.

Con tanto di mia benedizione. E Benedetta… colei che “viene” nel nome del Signore.
Il signore è il suo pastore. Egli la conduce per prati sereni, la consola dalle valli di lagrime, la riscalda e la solleva…

Lo so. Un po’ mi odiate e tanto mi amate.
Ma io soffro le pene… d’amore solo per la mia amata.

Voglio, voglio immergermi in quest’oceano suo rigenerante. E igienicamente purificarla.

Amami, insomma, togliti la gonna. Solo allora, sebbene io sia il veggente, potrò sapere se vergarti il mio sangue o m’amputerò seduta stante.
Potresti essere la Donna che sogno, il mio sonno peggiore o solo sederti sopra di me e assetarmi?
Sì, ho freddo, l’assiderato ha il capriccio d’ombelico in tuo danzarmi mia zanzara.

Lo so. L’hai sempre voluto. Anch’io. In un’altra vita ti ho avuta? Sì, ma domani non lo so. Potrei non volerla e non volare più Spicca adesso, appiccami. Se vuoi, picchiami anche e d’anca scudiscia. Che Donna di gran liscezza.

 

Firmato Stefano Falotico

 

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