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Chaos Reigns

Danze di morte, adorazione del macabro, vers(ett)i angelici e (a)mari della mia mente diabolica a sospiri ballerini d’una onirica trascendenza funerea quanto viv(id)a

di Stefano Falotico

Partiamo col dire che odio l’Italia. Sì, adoro solo i suoi scorci rustici, i ruderi che dagli arbusti intravedo nei miei spericolati “pellegrinaggi” in macchina, quando di testacoda sbando di fantasia colorante un arcobaleno abissale per illuminare una triste umanità scolorita. L’Italia non è tetra solo quando svetta nei suoi castelli abruzzesi, sulle torri emiliane che ti guardan dall’alto in basso, ti squadrano affinché tu possa cambiar visione della vita e, prospetticamente, (sopra)elevarti come un menefreghista Orson Welles de Il terzo uomo, uno stronzo dal cuore di pietra solo per chi in lui vede un indurito e non sa am(mir)are la sua anima non tagliata con l’accetta. Che (in)taglio di occhi. Salvo soltanto un italiano così. Per il resto, andate a puttane, immondi! Meglio io nel mio mo(n)do. Un uomo “cattivo” perché deluso dalla frivolezza, dal barbarico luogo comune, persino dalle amministrazioni comunali, un “tossico” di purezza contro ogni mania(co) di sconcezze che si spacc(i)a per esper(i)ta saggezza da “duro”. A me sta solo sul culo. Meglio la mia asprezza. E me ne sbatto dei suoi cazzi, di come mi raccontò che, per tre anni, lo sbatterono in una comunità e il suo fegato fu invaso dai batteri. Di come tirò fuori le “pal(l)e” e, scavando(si), d’interiora già sbudellate da bullo (ir)redento, crebbe “forte” e (ro)busto come un (ci)trullo di Alberobello, coltivando il suo orticello (in)felice e (s)contento di “erba” scontata del vicino, ché è sempre più verde, sì, il suo vicino è uno spacc(i)atore che sa coltivare marijuana da miglior sniffatore del farti coglier in “flagranza” di reato il tuo ratto ramp(ic)ante, drogante la “fragranza” del putrido tuo già “fungo”. Miei arrampicatori, no, non mi impicco. Vi picchio e vi scop(r)o con le mani nel sacco (a pelo). Siete scop(pi)ati! Sì, miei “belli”, vi abbellite di robe futili e sapete (ri)fiutarla a pecorine da “fighi” di puttana atomici. Infatti, se non schiatterete prima, a quarant’anni avrete una panza come tuo nonno, il mio morì a settanta, magro e vegeto, miei vegetali. Da bambino, gli ordinai una bistecca, lui andò dal macellaio e me la cucinò poi al sangue. Mangiato che fummo assieme, facemmo perciò a polpette il carnaio di massa(ie), massaggiandocele da vegetariani alla faccia dei carnivori. Io e mio nonno, due lupi azzannanti di canini, mica come voi, cagnacci(e), carini e (o)carine calde da locand(ier)e bagasce. Via, bestiacce! Sarete presi tutti e tutte a colpi d’ascia. Non accetto quest’aceto insipido e accetterò! Via in(s)etti, viaggiamo oltre questo luogo infetto! Vi faccio a fettine! Voi, lagnosi che “fumate”, siete già sfumati. Voi, donne mule dal contorno occhi nero ammiccante il “ciuc(ci)o” ad arrossarglielo, siete sformate, basta con questi sfornati, finitela di fornicare, dov’è sparito il vostro sorriso lietamente allettante, non “allattante” da or vacche (s)pompate, a cremisi d’un rossetto cremoso a mo’, amorevole, d’un burro-cacao del primo bacio delizioso, della vostra verginità fresca di rose d’amanti che amaron che un amante le corteggiasse sol sfiorandole, e invece or siete troie sfiorite da bottane” d’una femminilità potata, mie patate, da mercato “ortofrutticolo” dei vostri caldi di zoccole su serra(glio) dello zappatore che, come un topo, ve lo st(r)appa e imbuca, ma voi (s)frega mica un cazzo, ve ne (s)freg(i)ate di co(n)tanti e per voi mai il troppo stroppia. Non ne avete abbastanza? Eppur, esibendo visi fintamente candidi, dopo che il ricc(i)one, a Rimini, (o)mise il dito d’amplessi non tanto dolci e senza canditi, nella “candeggina” d’un sorriso pulito quanto la puzza della vagina a cui nessuna varechina potrà mai toglier la macchia del bosco (s)porco, fate buon viso da donnette, quando invero quegli ometti seppero eccome mettervelo da marine(s).

Somare!

Miei puri, miei prodi, respirate lontano da questo puttanesimo, io sono Giovanni Battista e incarno, seppur d’ascetico in sfacciati atti impuri che fa(n) “tenerezza”, masturbatorio non solo di seghe mentali, l’ossigeno del battesimo per rigenerarvi nella sana botanica d’una vita vera che voi spezzaste nel feto feticista e fetido, miei fetenti e infedeli, con tanto di ascelle pezzate e pezze(nti) al (para)culo.

Ehi, tu, pigliati il bastone e cammina con lo zoppo.

Lo zoppo sono io e cammino a testa alta in tal società zoccolante.

State barcollando.

Siete già in barca.

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