di Stefano Falotico
Sbiadita palpebra in tenebra cremisi
Lungo la periferia umida di Asbury Park, coi gabbiani libranti in voli alteri, che singhiozzano felici sopra le paure dei perdenti e degli scarti, riunitisi qui nel focolare di screpolate vite sgualcite. Fra chi tiene in mano chitarre “affrante” su proprie corde vocali arrugginite o tempestate da rochi rumori d’anime marine, fruscii ve(le)nosi di quei timori che han serbato per tutta l’esistenza in poi detonarli asciutti, troppo tersi o troppo bagnati, in cinguettii arrossati su guance scavate come rocce scolpite nei bassorilievi a cartine tornasole “geografiche” di tutti i traumi patiti, dell’erronee vie traverse intraprese dai lor destini ostinati, testardi e non ammessi alla comune, bastarda socialità dei tutti “vivi” invero morti. Fatiscenza assolata in lune grigie, obnubilati ex broker che han perso tutto con la “scommessa” puttana sulla cavallina da corsa di un’Escort buona solo a mescolar le loro palline da tomb(ol)e. Donne scolanti whiskettini marci, “(a)nemici” ma migliori delle loro figacce burrascose, che si trovan qui per aver litigato con l’“assistenza sociale” d’un marito traditore e gran cornuto. Uno comunque che non ha mai assaporato le tracce nella sabbia d’una donna davvero accalorata. Sapete? Quando i capezzoli te lo strizzan durissimo e devi coccolarla su e giù di succhiantissima lingua a mo’ di vampiro mai domo fra raggi solari focosi.
Nick riflette, e pensa ad Asbury Park. Incassato nella sua casa merdosa e incastrato nel suo corpo più taurino dei polli che si credono da corrida.
Invero, corridori poco matador ma già nell’asettico corridoio dello scolo… incoscienti già infilzati!
Arde in Nick la brama, il flebile, via via costantemente crescente, vivo pudore che spella in serene bestemmie. Perché stufo di tutto e, come questi reietti di Asbury, un topo, un rettile, un cazzo che striscia senza chiedere nulla e dando a vedere solo che è un poco di buono, sicuramente un veloce rapace e non un pachidermico bue da budini e mielosi amoretti pii da pulcinacci.
Nick ode, anche da distanza remota, il flusso d’un oceano che tanto segretamente accudiva le sue paure e oggi pare inghiottirlo con far lordo.
Nick pensa alla sua infanzia. Non è sempre stato “grosso”, Nick.
Da piccolissimo, era gracile, magrissimo eppur già grande…
Grande come la vastità totale della vita carpita da chi non ha tempo da perdere con ambienti giornalistici da leccaculo e bombaroli delle news da far (avan)spettacolo. Quelle rassegne stampe per stappare i capodanni con troie e stronzoni pronti solo a infilarti il linguino fra paste da radiografiche piastrine malate di qualche cazzo di influenza sessuale… e impiastri che sono da scribacchini delle mut(u)e. Vaffanculo!
Nick era un tizio fottuto da tutti, lo sfottevan di brutto.
Ma il mutamento visse da sempre in lui. Conturbante inquietudine d’una tristezza di fondo da chi, raschiando perennemente il barile, si trasformò in pietra grezza scheggiante per non sporcarsi le suole, per esser lucentissimo Sole e camminare eretto come un sapiente ignorante di gran carisma e dignità, una macchina da guerra nel macinar rabbie e calpestarle con sfrontati frontali.
Nick dalla rugosa f(r)onte, uno che ha sempre fatto il suo cazzo.
Masturbandosi in palestra fra tiri a segno a cazzetti senza ver’uccello di potenti ganci. Nick di tosti cazzotti. Cazzo!
Così Nick piange. Così merita di essere una pregiata merda, insomma, fra questo incasinante baccano e beccamorti, una rara perla.
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