di Stefano Falotico
All’imbrunire di gelide sere, nell’ansimo di spassionati miei tepori, lubrifico le meningi a cuor sbranato d’una stagnante palude di sangue. Incendiandomene, ardimentosamente lambisco strati densi e coloriti d’inaudito pallore, e plano tra fantasie odoranti ondosa quiete selvatica, vampiresca, che mai si smorzerà, ottenebrato dalle luci nere della mia cupezza, allucinato dal fragore miracoloso di tal visione, combatto i demoniaci e ignoti nemici del buio, agguerrito come un dio sovrano del potere della mente assoluta, ché infinita s’amplia tra orizzonti magnifici della mia sanguinolenta grinta armata d’anima. A tenebre di mortali sospiri, intirizzito e dunque vivo di forza crepuscolare a mio sterno spaccato, divelto e dalla friabilità corrosa nell’energia mia impetuosa e cacciatrice, inseguo le prede che dormono negli antri delle bestie, le vinco e resisto implacabilmente, ossuto come un cavaliere senza paura, nuotando tra lindi cieli sereni del mai assopirmi alla cecità, fanatico del mio scettro e del trono temerario dei miei lucenti slanci vivifici di vivermi dentro, sgualcito, arrugginito, stanco, con le vene ostruite dai buoni cristiani falsi, ammansitivi preti invero del satanismo perpetuo, ché la tradizione a regole manichee è il primo giuramento all’infernale oscurità dello splendido vedere. Dello squartar gli occhi alla visione estrema, coraggiosa, adombrata di timori come voglio che sia il mio tremolio, l’estatico spaventarmi nell’avanzamento della scoperta, del fuoco intenso a tagli miei accorati, anche sprofondando, toccando la morte palpabilmente, sfiorando il magma inghiottente del cannibalismo animalesco dell’uomo mai evoluto, a tenue bellezza gracchiante di gola inferocita, saggia e sofferente.
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