Avvizzito, mangio il mio passato e lo riavvolgo nella “cera” tene(b)r(os)a di me qui, squa(g)l(iat)o come tutti, divenuto anch’io can(nibale) in tal cinica società omicida, in tal antropofago porcile ignobile ove significa esser (no)bili sol se si mangia il (p)ross(im)o?
Volar via, “violarsi”, spegner i neuroni, addormentarsi e, rimestando nostalgici, nel mar(asma) di quel passato mesto, turbolentemente mi rid(est)o, ancor non (ri)posarsi, a qualcosa di velenosa-mente sfuggente accorarsi, i ricordi però, (con)fusi, non s’accor(d)ano, si rompon treme(bo)ndi, irrequieti d’infrangersi mal(igni), rotti in feroci schiamazzi eruttanti, nell’anima strizzata, giammai sterilizzata, piangente, nessun, però, rimpianto, total recall di ansie, di e ti danni, sognando la realtà d’un vi(rtu)ale alberato da cielo in una stanza.
Volar a Mar(te)…
Operaio dei tuo sogni distrutti, “pneumatico” riempir il vuoto di quell’indecifrabile blackout esistenziale, (r)esistendo nel cuor tuo macellato, nell’anima (maci)lenta da martellar’… fervida-mente, fantasiosa-mente, (ri)creando(ti) nella speranza fievole di riaccenderti, ancestrale creatura d’una rabbia craterica, scriteriata a spaccar il nulla avuto e immergerlo nei ma(r)i (im)possibili del volerla, violento, volente, rinavigarla a circumnavigazione di quel che non (de)fun(se).
Non c’è pass(at)o che (r)esista, crolli, (s)van(it)o essere-non esser stato.
Spacc(i)ato.
di Stefano Falotico
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