Straziato, attanagliato nelle viscere, medito sulla mia professione, con l’impermeabile del tempo atmosferico delle emozioni miscelate ai ricordi.
Angustiato, perennemente demotivato, strangolato, ai “bordi” delle mie tempie, con angoscianti, devastanti risvegli turbinosi nei quali “misuro” l’aria che mi soffoca, fagocita la mia anima in rivoli esangui di stanchezza “mortifera”. E, leggiadro, striscio tra la foschia mattutina, poetico e incendiario, anche incendiato da tremori “a pelle” che, lagrimando nelle mie budella, “starnutiscono” il piacer doloroso della vividezza mia, “sbranata”, afferrata per le corna, soffrente il patimento dell’esser nato e cambiar non potere...
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